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Oria: si è svolto l’incontro Ricostruiamo Porta Brindisi

Cultura

Scritto da il 25 Agosto 2010 - 11:54

Un plastico provvisorio di quella che potrebbe essere Porta Brindisi

Avevamo ampiamente descritto le motivazioni manifestate dal comitato promotore della “ricostruzione” di Porta Brindisi in un precedente articolo.

Ieri sera, presso il Palazzo Vescovile, si è svolto l’incontro programmato. Si sono susseguiti gli interventi, con l’illustrazione delle ragioni storiche che hanno mosso il comitato e considerazioni di natura tecnica sulla possibile ricostruzione.

Nella parte conclusiva della serata non è mancata qualche contestazione al progetto.

Pasquale Spina sul Palco

«Sono un po’ sconvolto in realtà da quello che ho sentito ed anche demoralizzato per essere cittadino oritano. Avrei gradito una maggiore onestà intellettuale ed anche una migliore competenza lessicale», ha aperto così il suo discorso lo storico Pasquale Spinta, dopo aver abbandonato la platea ed essere salito sul palco.

Spina, in particolare, ha criticato l’uso improprio del termine “ricostruzione”, a suo dire inappropriato trattandosi di un monumento del quale non esistono abbastanza informazioni affinché possa essere riprodotto esattamente come l’originale.

Lo storico ha concluso: «Pensiamo ai beni culturali da rivalutare: ai frantoi ipogei, alla chiesa di San Sebastiano, alla palombara. Quelli sì che attirerebbero i turisti, non questo arco trionfale “di una amministrazione”».

Un quadro che immagina l'opera

A seguire, continuando nella lettura dell’articolo, la relazione del prof. Giuseppe D’Amico, una ricerca sulla storia di Porta Brindisi.

PREMESSA
Completare quanto manca dell’antico patrimonio monumentale del Centro Storico di Oria è lo spirito che ha animato quanti, all’incirca un anno fa, si son voluti costituire in “Comitato cittadino per la ricostruzione di Porta Brindisi”, sicuri che il progetto, portato alla conoscenza del pubblico, delle Autorità e degli Enti culturali, turistici e finanziari, avrebbe favorevolmente sollecitato il loro interesse storico, culturale e sociale.

Prof. Giuseppe D'Amico


E se altri monumenti sarebbero stati degni di essere ricostruiti o restaurati per il loro alto valore storico, quali il “cimitero ebraico” ove riposano diverse centinaia di cittadini appartenenti alla Comunità ebraica oritana altomedievale o il “Portario” attraverso il quale si accedeva nei tempi passati nell’antica Acropoli messapica o la cinta muraria bizantina, i cui tratti, ancora oggi, si vedono in più punti del suo perimetro, cosa che collocherebbe Orla nel novero delle “città murate” al pari della vicina “Città bianca” di Ostuni, pur tuttavia “Porta Brindisi” è parsa al Comitato il monumento più impellente e più necessario da ricostruire.
La sua ricostruzione, infatti, oltre che dare completezza all’ impianto urbanistico della città medievale perché si aggiungerebbe alle esistenti Porta Taranto e Porta Lecce, potrà offrire ai turisti italiani e stranieri, che vi giungeranno, una più affascinante prospettiva paesaggistica e una idonea stazione da dove ammirare in tutta la sua arditezza lo slancio verticale della “Torre del Salto” del sovrastante Castello svevo e lo splendore della cupola maiolicata della settecentesca Cattedrale.
Non possono, dunque, esimersi i Cittadini oritani e gli Enti istituzionali dal favorire con ogni mezzo un tale progetto, capace, dopo tanti secoli di abbandono e di decadenza, di segnare la palingenesi della città.
Oria, Yria, Orra, Varia, Uria, Oira, come variamente è stata nominata lungo i tre millenni della sua gloriosa e fervida esistenza, lo merita fortemente!
Fondata al tempo della colonizzazione minoico – micenea della Japigia, la città si vanta di essere, oltre che una delle più antiche d’Italia e dell’intera Europa occidentale, metropoli di altre città, alcune delle quali, al dire di Erodoto di Alicarnasso, furono distrutte nei secoli successivi dai Dori di Taranto, suoi fieri antagonisti politici.
Fu però, solo nel V secolo a. C. quando la città riuscì ad organizzare una forte Confederazione messapica, che poté vendicarne la distruzione, sbaragliando ripetutamente le falangi oplite tarantine, in particolar modo nel 480-79 con una sanguinosissima battaglia, ricordata con sgomento da Erodoto, da Appiano Alessandrino e dallo stesso filosofo Aristotele.
Oltre al ridimensionamento della politica aggressiva tarantina, la vittoria conseguita dai Messapi portò ben presto la città di Oria, orinai riconosciuta capitale di tutta la Confederazione, ad altri successi politici. Durante la Guerra del Peloponneso, infatti, Atene, in vista della Guerra che stava per trasferire sul suolo siciliano con l’attaccare Siracusa perché somministrava a Sparta, aiuti navali e mezzi di sostentamento, prese in grande considerazione la città di Oria, come racconta Tucidide nelle sue Istorie, inviandovi una delegazione con l’intendimento di invitarla a sostenere la flotta ateniese lungo la traversata del mare Jonio.
La città di Orla accettò per cui fu stipulata un’importante “alleanza” militare, utile ad entrambe le città, per contrastare la politica espansionistica di Taranto, che sotto la guida del filosofo pitagorico Archita minacciava non solo il territorio messapico, ma anche quello della Siritide e della Lucania.
E furono anni gloriosi per la città, le cui imprese si sostanziarono nella realizzazione della grandiosa “Reggia dei Re messapi” ancora in piedi nel I secolo a. Cr., tanto da essere vista dal geografo Strabone ed essere citata nel libro VI della sua particolareggiata “Geografia.”
E come contro Taranto e poi contro Pirro; allo stesso modo la città prese le armi contro il cartaginese Annibale, qui giunto con le sue armate con la speranza di attirare dalla sua parte i Messapi e i Sallentini, spingendoli alla lotta contro Roma.
Entrata in seguito nell’orbita della potenza romana, Oria divenne, prima, “socia ex foedere”, poi, al tempo della guerra italica, “municipium romanum.”
E come tale la città continuò a scrivere altre importanti pagine di storia, partecipando attivamente alle lotte intestine scoppiate tra Cesare e Pompeo e successivamente tra Augusto e Marc’Antonio.
Accolta, qualche decennio dopo, la religione cristiana, predicata, come la tradizione racconta, dallo stesso apostolo Pietro, che era sbarcato nella vicina Felline-Bevagna sul mare Jonio, Oria fu sede di una delle più antiche Cattedre episcopali di Puglia.
Crollato l’Impero Romano d’Occidente, la città, come tante altre d’Italia, subì le catastrofiche conseguenze delle invasioni barbariche, sopportando assedi e distruzioni, ora da parte dei Goti, ora da parte dei Bizantini ed ora, ancora, da parte dei Longobardi.
Sotto questi ultimi, tuttavia, Oria sembrò risorgere a nuova floridezza, accogliendo tra 1e sue mura il Vescovo e i cittadini di Brindisi e divenendo, da quel momento, sede di un prestigioso “Ducato” oltre che di una importante “cattedra episcopale.”
Furono, quegli, gli anni in cui l’ex Duca di Benevento Gaiterisio prese a governare il Ducato di Orla, intessendo con Bisanzio ottimi rapporti di amicizia e furono, ancora, gli anni in cui l’Accademia ebraica oritana andava diffondendo, come nessun’altra nel Meridione, la luce della grande cultura giudaico-latina grazie ai suoi dotti Maestri, quali Shefattià ben Amittaj e Shabbatai bar Avraham Donnolo e furono anche gli anni durante i quali sedette sulla Cattedra episcopale oritana il pio Vescovo Teodosio, scelto dal Pontefice Adriano III a guidare importanti missioni diplomatiche in Oriente presso l’imperatore Basilio il Macedone.
Tale floridezza durò, purtroppo, solo pochi decenni perché presto si gettarono con inaudita ferocia sulla città i Saraceni, saccheggiandola varie volte, in particolar modo nel 926, e distruggendola del tutto nel 976.
La ricostruzione della città, voluta dai Bizantini, non produsse che pochi effetti positivi, tra cui l’elevazione della sede vescovile oritana a sede arcivescovile con la suffraganeità delle Chiese di Brindisi, di Ostuni e di Monopoli e la ricostruzione sull’antica acropoli di un forte “castrum militare.”
La città, ormai, dissanguata dai saccheggi, era diventata un piccolo “vicus”, contando appena qualche migliaio di abitanti, la Colonia ebraica e i maestri della sua Accademia erano andati via, disperdendosi in altre zone dell’Italia, e la stessa fede cattolica romana professata dagli Oritani veniva conculcata, anche se indarno, dalla politica cesaropapista degli Imperatori bizantini!
Di lì a poco, giunti i Normanni e impossessatisi della città non senza saccheggi e violenze, le portarono via anche la Cattedra arcivescovile, trasferita a Brindisi, come sappiamo, dietro le forti pressioni politiche del Conte Goffredo di Conversano presso il Pontefice.
Solo al tempo di Federico II la città tornò nuovamente a risplendere, avendola scelta a sede di un suo turrito maniero.
Passata, tuttavia, la meteora federiciana, la città, caduta nuovamente nell’oblio e nell’abbandono politico; partecipò alle drammatiche lotte di successione sul trono di Napoli tra Angiomi e Aragonesi e tra Aragonesi e Spagnoli, subendo i devastanti saccheggi del Caldora e del De Paz.
Passati alcuni altri secoli e giunti nell’età moderna, l’indomita città prese parte agli animati dissidi politici, scoppiati tra “conservatori borbonici” e “liberali piemontesi”, subendone le conseguenze, giuste o ingiuste che fossero, e, come se non bastasse, sopportò in quegli stessi anni le due gravi ondate di colera che imperversarono sui poveri cittadini e, qualche decennio dopo, precisamente il 21 settembre del 1897, un funesto ciclone che a1 suo passaggio mietette vittime e distruzione.
E’ per tutte queste passate vicende storiche, che la città (cioè Voi, gentili ascoltatori e Voi, illustri Autorità civili e religiose), di cui si è fatto interprete il suddetto Comitato, vuole oggi tornare a risplendere, riproponendo alla vostra attenzione tra le poche perle monumentali rimaste, la ricostruzione di Porta Brindisi, sicura che “conservare il passato” vuol dire: “continuare a vivere nel futuro.”
PORTA BRINDISI NEI DOCUMENTI STORICI
Un’attenta ricognizione sui testi storici ci porta a ritenere che la cinta muraria interna, interrotta da tre porte, quella di Taranto o degli Ebrei, quella di Lecce o di Manfredi e quella di Brindisi o della Lama, sia stata innalzata in epoca messapica e che sia rimasta in piedi fino all’alto Medioevo quando, dopo aver fatto da baluardo difensivo contro le orde saccheggiatrici dei Saraceni, fu da questi gravemente distrutta nel 976. Ricostruita subito dopo o restaurata dai Bizantini, la cinta muraria con le sue tre porte urbane continuò a difendere la città per molti altri secoli- ora contro i Normanni del Conte Unfredo Altavilla e Roberto il Guiscardo alla fine dell’XI secolo, ora contro il Re Manfredi di Svevia che intendeva abbattere il “libero Comune di Oria” che era difeso dall’eroico concittadino Tommaso d’Oria, ora contro il Caldora e il De Paz durante le lotte di successione al regno di Napoli tra Angioini e Aragonesi e Aragonesi e Spagnoli, e ciò solo per citare gli assedi più drammatici e più disastrosi subiti da questa.
Che le Porte siano di antichissima origine e che siano state in ogni tempo tre e che siano state ricostruite sempre sullo stesso sito, ci è confermato dai seguenti documenti storici e archeologici, quali la “Narratio Historica seu vita Vescovi beati Teodosii” di epoca altomedievale, l’epigrafe che ancora oggi campeggia dal 1727 sulla sommità di Porta Lecce, la Mappa del Centonze del 1643 e le Delibere comunali del 1861 e del 1865.

PORTA TARANTO
L’Anonimo della Narratio Historica seu Vita Vescovi Beati Teodosii cita Porta Taranto quando racconta che il Vescovo Teodosio, alla fine del IX secolo, volle depositare le Reliquie di San Barsanofio in un sacello “extra Portam tarantinam” ossia “Porta hebraica”, informandoci in questo modo dell’esistenza di una cinta muraria e di una Porta noti col nome di “Torta tarantina” o “Porta hebraica” anteriore, pertanto, alla tremenda distruzione della città infertale dai Saraceni nel 976.
E se oggi la suddetta Porta la vediamo costruita con conci di carparo più recenti e con stile architettonico rinascimentale, ciò è dovuto al fatto che questa, danneggiata dal Caldora alla fine del XV secolo, fu, subito dopo, ricostruita da Giovanni Antonio del Balzo Orsini, Principe di Taranto.

PORTA LECCE
L’epigrafe posta sulla sommità di Porta Lecce o Porta Manfredi o Porta degli Spagnoli, dice che, collassata dal peso dei suoi lunghissimi anni (ben 3094!), fu ricostruita nel 1727 dal Marchese Michele Imperiali e dall’Ordine dei Decurioni di Oria:
D. O. M. OPUS MMMXCIV AB HINC AN(N)IS EXTRUCTUM LONGINQUA AEVI VETUSTATE INDE COLLAPSUM MODERANTE MCHAELE 1MERIALl OFFICIORUM URITANORUM ORDO AB ANTIQUIS VINDICAVIT RUINIS AN(N)O AERAE VULGARIS
Anche a voler ritenere impreciso il computo degli anni (3094) riportato nell’epigrafe perché ci porterebbe a considerare la sua costruzione al tempo della fondazione della città e cioè al tempo dei Minoico-Micenei, pur tuttavia l’epigrafista ce la indica “vetustissima” tanto da farcela ritenere del tempo di Oria messapica, quando questa fu costretta a difendersi dagli assalti della dorica Taranto nei secoli VI – V – IV a. Cr. innalzando una poderosa cinta muraria.

PORTA BRINDISI
Benché non riscontriamo la sua esistenza in nessun documento antico, pur tuttavia riteniamo che anche questa sia stata costruita al tempo dei Messapi e questo non solo per “analogia storica” con le altre due Porte ma anche per motivi prettamente funzionali, data la conformazione orografica di questa parte del tessuto urbano.
Era necessario, infatti, che all’imbocco dell’odierno Corso Umberto ci fossero, oltre che un varco, attraverso il quale far defluire le acque pluviali che scendevano e continuano a scendere dalle Colline di Santo Crisanto e Daria e di Sant’Andrea, anche una Porta, attraverso la quale mettere in comunicazione questa parte della città con la Via Appia che nei tempi
antichi, costeggiandola, si snodava lungo “Contrada Crocifisso” prima di toccare quelle di Gallana e di Carnale, poi la città di Muro Tenente, quindi Scamnum ed infine Brindisi.
Proprio all’imbocco di Corso Umberto, del resto, le “Muraglie Lama” da un lato e le “Muraglie Bastia” dall’altro, seguendo l’orografia del terreno, si abbassano in maniera assai evidente, offrendo in tal modo la possibilità che in quel punto si creassero un varco e, dunque, una Porta per far defluire le acque pluviali e comunicare con l’esterno.
Ma se non possediamo alcun documento per così dire “antico” che testimoni la sua esistenza, abbiamo tuttavia quelli più recenti ed ugualmente storicamente importanti come la Mappa del Centonze del 1643, il “Contenzioso del 1829 tra la Signora Concetta Massa e il Sindaco Vincenzo Errico”, le “Delibere del 1861 e del 1865” e il “Bozzetto” di Emanuele Benedetto Pinto del 1874.
a) La Mappa del Centonze del 1643, voluta dal Marchese di Oria e Principe di Francavilla Fontana Michele Imperiali, che la commissionò al Centonze, insigne architetto di Francavilla Fontana, descrive la cinta muraria e le tre Porte cittadine e l’assetto viario urbano così minuziosamente da sembrare di aver disegnato la città, fotografandola dal cielo.
Il cartiglio che l’accompagna contiene 15 indicazioni, la prima delle quali si riferisce al Castello, la seconda a Porta Brindisi, l’ottava a Porta Taranto e la undicesima a Porta Lecce.
Tutte e tre le Porte sono descritte ampie, alte, con una sola fornice e ad arco a tutto sesto.
b) L’Archivio di Stato di Brindisi: “Scrittura dell’Università oritana dell’anno 1829.”
Tra le varie Scritture dell’Università oritana c’è quella riguardante la “Citazione in giudizio del Sindaco Vincenzo Errico da parte della Sig.ra Concetta Massa che si opponeva all’abbattimento di Porta Brindisi perché, a suo dire, avrebbe potuto causare il crollo della sua abitazione in quanto la Porta faceva ad essa da “appoggio, da suppunto e da resistenza.”
c) L’Archivio Storico del Comune di Oria: “Delibera del Consiglio comunale del 10 novembre del 1861” avente per oggetto l’abbattimento dell’Arco di Porta Lama.
Portato in discussione l’argomento, alla fine della seduta, la maggior parte dei Consiglieri si espresse favorevolmente per l’abbattimento. Ciò non ostante, la Porta non venne abbattuta, tant’è vero che continuerà a stare in piedi per altri tre anni e mezzo e, cioè, fino al maggio del 1865.
d) L’Archivio Storico del Comune di Oria: “Delibera del Consiglio comunale del 13 maggio del 1865” avente per oggetto l’abbattimento dell’Arco di Porta Lama.
Portato in discussione l’argomento, il Consiglio comunale si dichiarò nella sua maggioranza favorevole all’abbattimento, uniformandosi al pensiero dell’Assessore Camillo Monaco che sosteneva che l’abbattimento doveva essere fatto perché andava “nella categoria dell’ornato e dell’utilità pubblica per il fatto che tale Arco offriva una visuale troppo meschina ed impropria ed una entratura di squallore nella città.”
e) Il Bozzetto di Emanuele Benedetto Pinto del 1874.
Dal quadro del noto pittore oritano Emanuele Benedetto Pinto che lo aveva effettuato come “icona sacra” onde sottolineare la protezione di San Barsanofio sulla città di Oria, il Pinto ne ricavò un altro (il cosiddetto Bozzetto) che per tanti anni è stato esposto nella Sala di lettura dell’ex Biblioteca comunale (una volta Palazzo Salerno), divenuta poi Sala delle riunioni della Pro loco; ora abbellisce la sala di rappresentanza di Palazzo Martini.
Tanto nell’icona sacra, quanto nel “Bozzetto”, il Pinto ha riprodotto sia la vecchia città con la Cattedrale, il Castello e il Palazzo dei Padri Vincenziani, vista da Via Latiano, sia l’Arco di Porta Brindisi e la “Colonna dell’Immacolata” che si affacciavano sullo slargo di Piazza Lama.
Entrambi i monumenti, come possiamo constatare, oggi non esistono più. All’abbattimento di Porta Brindisi del 1865 seguì, infatti, nel 1900 quello della Colonna dell’Immacolata che, già gravemente danneggiata dal Ciclone del 21 settembre del 1897, secondo il giudizio del Sindaco Carlo Russo, era di grave impedimento e di ostacolo per lo scorrimento del traffico e per la sistemazione del selciato che la Giunta comunale aveva intenzione di effettuare.
In pochi decenni, come vediamo, Oria ha perduto due insigni monumenti che, se fossero stati restaurati, invece che abbattuti, farebbero ancora parte dell’importante patrimonio monumentale della città.
E’ stata una grossa ferita inferta alla città!
Una ferita, questa, che il suddetto Comitato, rivolgendosi a Voi, illustri Autorità e a Voi, gentili e solerti cittadini, invita a sanare, ricostruendo PORTA BRINDISI.
Non sussisterà sullo stesso suo originario sito per motivi di funzionalità? Non fa niente!
Non avrà lo stesso stile delle altre due porte? Non fa niente!
Fa molto, invece, che tutti quanti, Autorità e cittadini, siano d’accordo a voler riparare il danno subito dalla città, abbellendo nuovamente con questo monumento quella parte di piazza Lama che un tempo era detta del “Pozzo dell’Annunziata”, pozzo che un benemerito cittadino lamense ha da poco inteso restaurare a proprie spese, ponendolo accanto alla statua dell’Immacolata che da oltre un decennio, auspice l’intero Rione Lama, si innalza, benedicente sugli Oritani e sui forestieri che numerosi vengono a visitare la città.

Oria: si è svolto l’incontro Ricostruiamo Porta Brindisi

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