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La geopolitica di papa Francesco

Religione

Scritto da il 22 Agosto 2013 - 16:08

Diamo spazio sul nostro giornale telematico a un intervento di don Franco Candita, presbitero della Diocesi di Oria e firma del mensile diocesano “MemOria”. L’articolo qui riportato, anche se fa riferimento ad argomenti ormai di qualche settimana addietro – ovvero il viaggio del Papa a Lampedusa – rimane comunque un valido corpo di riflessioni.

don Franco Candita

Kaos è quella terra significativamente così nominata in Sicilia dove lo scrittore Pirandello colloca parte della sua vita e delle sue Novelle. Mai inventiva toponomastica è più aderente alla situazione odierna dell’Italia. I cosacchi in parlamento usano un linguaggio che solo l’impunità parlamentare garantisce dalle denunce penali, insultano i giudici di Cassazione “Banditi di Stato” declinandolo come diritto di critica. È kaos perché i banditi chiamano ladri i derubati e onesti i furfanti, in questa Italia che – da terra del diritto – è diventata terra dell’innocenza per prescrizione dei reati (più di 9 mln di processi non si celebrano), e perché sono pronti deragliatori e manipolatori della Costituzione. È kaos in quest’Italia scesa al 61° posto per la libertà di stampa; per la concentrazione dei media posseduti da alcuni. È kaotica la neopolitica di un governo che è nato “bicefalo” e “strano” per le riforme urgenti: lavoro, legge elettorale, incentivi alle attività produttive, ma programma revisione (stravolgimento) della Costituzione, Expo 2015, e, magari, la conquista di Marte nel 2020. Kaos perché le direttive europee disattese ci costano milioni di euro di multe, per il lavoro sommerso fatto prevalentemente da immigrati non regolarizzati; perché “La nostra industria è allo stremo per le troppe tasse” e le mille tangenti (fonte Bankitalia); kaos perché “Non si respira il fresco profumo della libertà” (B. Spinelli), né v’è «traccia di quella felicità che è l’humus della democrazia» (G. Zagrebelsky). Stante questo magma socialculturale, il papa salta il Rubicone della mentalità chiusa al mondo marginale cui dà centralità e visibilità andando a Lampedusa. A distanza di un mese, oltrepassando la cronaca, che significato ha il viaggio?

Innanzitutto, cosa non è andato a fare il papa a Lampedusa? Non è andato a un funerale di Stato, né a celebrarne uno per le migliaia di “immigrati”, quasi tutti musulmani, morti nell’attraversare su barconi il Mediterraneo. Il “mare monstrum” ridiventerà “mare nostrum” sia degli europei che di tutti gli Stati che si affacciano su di esso. Lui, figlio d’un piemontese salpato da Genova nel 1928 per cercare fortuna a Buenos Aires, capisce bene i migranti (non clandestini!) di terre inghiottite dalla guerra e dalla fame. All’indifferenza e ostilità degli Stati, il papa risponde con un atto della Chiesa di partecipazione ed elaborazione del lutto e di richiesta di perdono «per l’indifferenza verso tanti fratelli e sorelle; per chi si è chiuso nel proprio benessere che porta all’anestesia del cuore».

1) Da Lampedusa in poi parlano i segni, ma di più i sentimenti, l’empatia. «L’emozione è una certa maniera di cogliere il mondo» (J. P. Sartre), di rappresentarlo; «chi di noi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie? Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del “patire con”. Parla la sofferenza: «il pensiero dei naufraghi morti in mare è tornato continuamente come una spina nel cuore che porta sofferenza»; parla l’urgente dovere: «dovevo venire qui oggi a pregare, a compiere un gesto di vicinanza». «Nessun calcolo utilitaristico è in grado di fornire la misura con cui valutare la miseria e la perdita di queste vite» (Judith Butler). La sofferenza è «un genere d’afflizione e di perdita così insopportabilmente pesante che, anziché alleviarsi e dissiparsi, penetrano piuttosto nel corpo e si infiltrano in ogni cellula e in ogni minuto della vita» (A. Joh). «Lampedusa è una richiesta di perdono con tutto il corpo, il corpo di un papa che da capo di un’istituzione radicata nella società del benessere si sente responsabile» (F. Cardini). Dalla carne fisica del papa al Corpo fisico della Chiesa.

2) «Il lutto non celato è unito all’indignazione e l’indignazione di fronte all’ingiustizia o, anzi, alla perdita insopportabile ha un enorme potenziale politico» (J. Butler». Indignazione e potenziale politico il papa li esprime con linguaggio semplice ma di alta rappresentatività etico-religioso-poetica, percepibile nella scelta dei testi biblici proclamati per sollecitare la responsabilità dell’uomo contro la fuga e il nascondimento. Adamo è inseguìto dal “dove sei?”, Caino da: “il sangue di tuo fratello grida fino a me”! Abele ha tanti fratelli, perciò Francesco martella i cittadini e i credenti, la politica e la religione senza fede: «siamo caduti nell’ipocrita atteggiamento del sacerdote e del servitore dell’altare, di cui parla Gesù nella parabola del Buon Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto, pensiamo “poverino”, e continuiamo per la nostra strada; non è compito nostro, e con questo ci sentiamo a posto».

Esaminiamo il potenziale politico dell’indignazione del papa a Lampedusa.
Primo rilievo: «Oggi nessuno nel mondo si sente responsabile di questo; abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna»), questo linguaggio trascende l’ambito giuridico e si riconduce all’imperativo categorico Kantiano, all’imperativo morale valido per ogni uomo, che personalità mignon della politica italiana faticano a comprendere dicendo “altro è fare prediche e altro è avere responsabilità politiche”. La politica non s’interessa dei migranti, dei richiedenti asilo e dei rifugiati e li discrimina perché non costituiscono un ritorno elettorale; «la povertà non ha rappresentanza», nè ce l’hanno 9 mln di “Italiani poveri” (dati ISTAT 2013) di cui 5 mln in situazioni di indigenza assoluta. Scrive E. Guerrieri: «Il problema più grave in Italia non è la povertà, ma le diseguaglianze da cui nascono le ingiustizie».
Secondo rilievo. Nelle parole del vescovo di Roma “Il Caino sono io perché faccio parte di questa società opulenta che distoglie lo sguardo”, «c’è il rifiuto del darwinismo sociale. … Siamo di fronte a un messaggio che definirei escatologico, le cose del mondo, sembra suggerirci Francesco, sono arrivate al punto che non si può più perdere un attimo» (F. Cardini), perché il ritardo è scandaloso sotto ogni segno zodiacale o religioso. Dov’è finita la lezione biblico-teologica “sul fine” e “sulla fine” (escatologia) nella Chiesa?
Terzo rilievo. Ci fu chi, con l’autorità di presidente del Consiglio, disse che avrebbe fatto di Lampedusa una Portofino; lì avrebbe acquistato una villa e avrebbe costruito campi da golf, facendola diventare la perla del Mediterraneo. Più realisticamente il papa mette fine al gioco delle tre carte e “Riconosce all’isola di Lampedusa il merito che nessuna autorità
europea e italiana ha finora tributato; la visita di Francesco è anche un assegno in bianco senza cifre verso questa comunità” (F. Cardini), ammirevole «per l’esempio di amore e di carità, per l’esempio di accoglienza che ci avete dato, che ci state dando e ancora ci date».

3) Il viaggio di papa Francesco è “divisivo”? Sì. Il linguaggio della chiarezza è divisivo, mentre quello diplomatico-politico (il politically correct) sembra non esserlo (ma è untuoso, ipocrita, decentemente indecente). «Nella nostra società è sempre più difficile ascoltare parole emesse da cuori sufficientemente integri. Le parole perciò risultano depotenziate, false, luci sempre più artificiali» (M. Guzzi). Avremmo mai pensato che un papa dicesse in udienza pubblica a seminaristi e religiose: ‘fa schifo’ un prete o una suora che ostenta lusso nei mezzi di locomozione? A Lampedusa il linguaggio cortese («Per favore, per favore», ripetuto due volte!) si coniuga con l’imperativo «Non fatelo mai più», unito all’umile «Tanti di noi, mi includo anch’io, siamo disorientati, non più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri». Il suo linguaggio è “fraterno” e “divisivo” come l’evangelico “sì se è sì, no se è no”, linguaggio chiaro per fatti orribili: «Ho sentito, recentemente, uno di questi fratelli. Prima di arrivare qui sono passati per le mani dei trafficanti che sfruttano la povertà degli altri, persone per le quali la povertà degli altri è una fonte di guadagno».

Alla pacificazione brandita da alcuni in quest’Italia populista per ragioni politiche, il papa oppone la riconciliazione per scelta di campo: di qua giustizia, verità, equità, di là menzogna, non equità, ingiustizia; di qua i deboli di là gli sfruttatori. Come determinare i campi? Ci sarebbe il confine della legalità e del bene comune. Il cristiano ha un modello: “Cristo nostra pace, che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era in mezzo, l’inimicizia, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo” (Ef 2,13 ss) e un criterio: “non è la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma essere nuova creatura” (Gal 6,15ss). Il credente è indiviso in se stesso e non divisivo con gli altri, sa eliminare la dinamica distruttiva (inganno, ipocrisia, forzatura delle coscienze) dalla propria “forma mentis”, dalla visione dell’altro come nemico, riconciliatore come agnello privo di mutazione genetica che trasforma in lupi, assuntore di “responsabilità fraterna”. Fare scelte “inclusive” sì, ma contro “la cultura dello scarto”, figlia dell’odio e dell’interesse.
L’identità cristiana non è distruttiva ma benèfica: “fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e gli ingiusti. Se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? Se salutate soltanto i vostri fratelli che cosa fate di straordinario?” (Mt 5,43ss).
L’irruzione dello straordinario nell’ordinario, nel quotidiano, è la speranza dei credenti.

4) Secondo voci, il papa ha in mente di sviluppare una «riflessione sulla povertà materiale, spirituale, povertà non in senso ideologico, politico, ma in senso evangelico. Qualcosa tipo ‘Beati pauperes’. L’incipit di quest’enciclica l’ha già scritto» (L Seveso): è Lampedusa.
Il tema della povertà è segno di contraddizione nella Chiesa e nella politica degli Stati. Bergoglio, vescovo di Roma, s’ispira a s. Francesco; se scriverà sulla povertà, impegnerà tutto se stesso sul piano dottrinale e più sul piano operativo all’interno della Chiesa col persuasivo e decisionale potere nella sua diocesi, Roma, per renderla dinamica nella novità dello Spirito, di esempio alle Chiese locali, in specie a quelle delle lontane periferie. Scrive il gesuita G. Semino «Non di pauperismo (si tratta) a fini di marketing. L’aspetto sociale della Chiesa (nelle sue strutture) o risponde a quello stile di popolo pasquale (che papa Francesco sta incarnando) o ne diviene il più smaccato tradimento». È questa la convinzione e la pratica di tutti cattolici? Lampedusa è veramente l’inizio del viaggio della Chiesa?
Quanto alla politica, il papa nega che la povertà abbia il carattere della fatalità, e la riconduce alle dinamiche Erodiane: «Erode ha seminato morte per difendere il benessere proprio. E ciò continua a ripetersi. Domandiamo al Signore che cancelli ciò che di Erode è rimasto anche nel nostro cuore; domandiamo la grazia di piangere sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi, in coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada a drammi come questo». “Gli anonimi” sono banchieri, politici inseguitori di un liberismo sregolato; Bergoglio è contro la “globalizzazione dell’indifferenza”; non è contro la produzione e lo scambio delle merci, ma contro ciò che li governa: lo sfruttamento dei poveri, del lavoro, delle risorse terzomondiali; egli sfida le Istituzioni e la loro scialba anima, correa del neocolonialismo finanziario ed economico ipermilitarizzato globale.

La geopolitica di papa Francesco

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