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Oria, il carnevale di una volta

Cultura

Scritto da il 12 Febbraio 2010 - 14:58

Per il periodo di Carnevale, chiamato nella liturgia cattolica Tempo di Settuagesima, sono molti i momenti di festa che si vivono prima dell’arrivo del penitenziale Tempo di Quaresima. In realtà l’inizio del carnevale propriamente cristiano (che in quanto collegata alla Pasqua è una data mobile, ovvero la terza domenica prima del mercoledì delle Ceneri) non coincide esattamente con l’inizio del carnevale della nostra tradizione popolare che stabilisce l’inizio del periodo con il 17 gennaio, festa di Sant’Antonio abate.

La tradizione carnevalesca oritana, vissuta fino a pochi decenni fa, iniziava con la festa di Sant’Antueni, appunto il 17 gennaio (da cui il detto Ti Sant’Antueni mašchiri e sueni). Oltre ad un adeguato festeggiamento religioso che vedeva la celebrazione di un triduo  di preparazione alla festa con il canto del Te Deum e ben tre sante Messe nella mattinata del 17 gennaio, la popolazione viveva un caratteristico momento di aggregazione sociale. Infatti davanti la cappella di Sant’Antonio abate, sita in via Francesco Russo nel centro storico oritano, dopo il tramonto si accendeva lu fucanoi o fucaroni, analogo ad altre manifestazioni salentine (come la focara di Novoli). La festa vedeva la famiglia Attanasi, proprietaria della cappella (secondo un privilegio acquisito nel XIX secolo) distribuire ai presenti vino delle proprie cantine ed era tradizionale l’esecuzione della vascia musica, curata per molti anni dalla Banna ti lu Šcattusu, composta tutta da membri di una stessa famiglia. Ultimo residuo di questi festeggiamenti in onore di Sant’Antonio abate (che pare prevedesse anche la benedizione degli animali domestici) è stato l’accensione del falò davanti la cappella del santo, definitivamente scomparsa al termine degli anni ’60.

I festeggiamenti veri e propri del carnevale entravano nel vivo solo nell’ultima settimana, ovvero dal giovedì al martedì grasso; in questi giorni molti usavano mascherarsi, dai più piccolini ai giovani riuniti nelle squatri ti chiazza (guidate da un componente a volto scoperto garante per il resto della squadra) che passavano per i vari veglioni organizzati in private abitazioni o appositi locali. Anche molti adulti usavano mascherarsi e sono diverse le testimonianze, anche fotografiche, che ne danno certezza. Particolare era inoltre la diffusione di dolci come chiàcchiri, cannellìni e cunfìtti rizzi nonchè l’esibizione improvvisata di musicisti, sulle cui note i passanti imbastivano estemporanei balletti.

Nel mezzo però della baldoria e dell’allegria, nelle chiese parrocchiali – e precedentemente solo nella Cattedrale – c’erano li Quarantori, ovvero la solenne esposizione del Santissimo Sacramento segnalato dai rintocchi lenti  e regolari delle campane; questa pratica devozionale ricordava la permanenza di quaranta ore di Gesù nel sepolcro prima della resurrezione e fu creata per porre un freno all’eventuale ebbrezza sfrenata cui il carnevale poteva portare.

Di lì a poco – con il mercoledì delle Ceneri – sarebbe iniziata la Quaresima, tempo di penitenza in preparazione della grande gioia pasquale.

Per saperne di più è utile consultare “Cenni di folklore oritano” di Fernando Andriani (tratto dal numero unico “Torneo dei Rioni 1974”) e “Ad Oria Cristo scende il giovedì” di Pino Malva.

Oria, il carnevale di una volta

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